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Oggi si parla molto di rilancio dei borghi. Io da molti anni conosco un posto in Valtellina che, da semplice frazione, un borgo lo è davvero diventato. Si chiama Baruffini, ed è stato reso più vivibile e attraente dai suoi stessi abitanti.

Ripensando Baruffini

La prima notte che ho dormito a Baruffini è stato nella casa parrocchiale, venticinque anni fa. Anzi, a dire il vero è stata anche l’ultima, perché tutte le altre volte che sono venuto a trovare Fulvio, ho sempre alloggiato a Tirano. Mi faceva un certo effetto, ricordo, quell’ambiente odoroso di chiesa che mi riportava indietro nel tempo.

La prima cosa che mi aveva colpito, salendo in auto da Tirano, erano stati quei muri di vigne lungo i quali si snodava la strada, in un susseguirsi di curve e controcurve che via via allargavano lo sguardo sulla valle. 

Ordine, cura, dedizione: a un animale di città e di mare come me, quei filari erano apparsi come preziosi ricami della terra, sapienti e cangianti decorazioni figlie di una memoria che si perdeva nel tempo. Poi, ricordando anche certe vigne liguri, quelle delle Cinque Terre, non avevo potuto fare a meno di pensare al lavoro da cui quei ricami prendevano vita: fatica, calli nelle mani, schiene piegate e occhi bruciati dal sole e dal vento.

Ricordo di aver provato un sentimento di rispetto e di ammirazione, salendo lungo quella strada.

“Benvenuto a Baruffini”, mi aveva detto il mio amico quando, superata una stretta curva, alla visione dei terrazzamenti si era sostituita quella delle case. Finalmente mi trovavo nel luogo in cui lui aveva edificato la casa della sua famiglia, il grande progetto di cui mi aveva parlato in tante chiacchierate al telefono.

Tegole, legna, sapore d’antico, salvo qualche abitazione più giovane qua e là: carino, sì, ho pensato, ma niente più; in pratica una frazione di montagna. Con un panorama sulla valle, però, che da quegli ottocento metri mi dava la sensazione di viaggiare su un aereo: mozzafiato, si dice, e qui si capisce perché.

A casa festeggiammo con pizzoccheri e sciàt, e fu quello l’inizio di una seconda vita per la nostra ostinata amicizia, del tutto indifferente alle distanze che ci dividevano: da Genova lui era arrivato in Valtellina e io, qualche anno dopo, lo avrei emulato trasferendomi a Roma.

Cose così, della vita.

Con il passare del tempo ho avuto più di un’occasione per tornare a Baruffini. E ogni volta ho trovato qualcosa di nuovo. Percorrendo alcuni itinerari ho appreso storie che parlavano di contrabbandieri, di partigiani e di emigranti. E sulle pendici del Masuccio ho percorso l’antico sentiero del pane, quello che da Roncaiola conduceva al mulino di Barfì. Ho conosciuto gente che vive qui, tempra forte e gentile, e ho compreso che generosità e caparbietà sono valori piuttosto diffusi, da queste parti.

Rispetto alla frazione che visitai la prima volta, la Baruffini che ho via via ritrovato è oggi ben altro: ai ricami della terra, altri ricami avevano preso vita grazie alla passione di mani esperte, ed erano quelli del nuovo campo sportivo, del cimitero ristrutturato, del parchetto per i bambini, della compagnia teatrale, del defibrillatore, delle casette per gli uccelli. E persino quelli della camera mortuaria, voluta per dare la possibilità a quelli di qui che se ne vanno di ricevere l’estremo saluto della comunità. Tutto realizzato grazie alla volontà della gente del posto, a quel volontariato che non sa stare con le mani in mano ad aspettare che altri intervengano.

Senso di appartenenza e di condivisione, voglia di bellezza. Cose contagiose, queste, ma tutt’altro che scontate. Valori preziosi, direi, che mettendo in movimento le persone possono ridare vigore in ogni modo possibile a quel che rimane oggi dell’idea di comunità, dell’anima dei luoghi. Ricorrendo anche, se occorre, alle più moderne diavolerie: non fossero bastate le iniziative messe in campo, persino un telegiornale si sono inventati, pur di creare occasioni di incontro e di conoscenza della cultura locale. Per far sapere a valle e al mondo che Baruffini c’è, e vive.

Prima o poi ci devo proprio tornare lassù, in quel borgo in cui la gente, insieme alla terra, cura la memoria senza mai smettere di guardare al futuro. Troverò, ne sono certo, qualche nuova, piacevole sorpresa.

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