Torre di Palme – Lo spirito del tempo sospeso
Ecco l’articolo che ho dedicato al borgo marchigiano di Torre di Palme, pubblicato nel numero di marzo di Borghi Magazine.

Nel silenzio del primo mattino, dal mare, il sole inizia a scaldare di colore le mura del borgo e le case di mattoni rossi che guardano a sud-est, dalla parte del bosco del Cugnolo. La luce radente di fine gennaio, timida e seducente, sembra accordarsi alla perfezione con il senso di quiete che avvolge Torre di Palme, nella sospensione del tempo che il luogo propone in questa splendida mattinata di gennaio.
“D’estate – mi avvertirà poi Massimo – è però un’altra cosa. Le vie si riempiono di visitatori, e davanti ai ristoranti c’è sempre la fila. Dalla quiete si passa al caos: ma è comunque un caos felice, in fondo”.
Massimo Mattetti, giovane storico dell’arte, e non solo, è nato e vive qui, e ti dice di ogni pietra del borgo. Percorrendo con lui via Piave, la stretta strada lastricata che divide a metà Torre di Palme da monti a mare, non è certo difficile entrare in connessione con lo spirito del tempo di questo luogo, dal 2017 entrato a far parte come membro onorario del Club I borghi più belli d’Italia.
La millenaria chiesa di S. Giovanni Battista è l’edificio più antico. La incontro poco prima del Palazzo Priorale e del vicino tempio di S. Agostino, dove spicca il polittico del veneziano Vittore Crivelli, pezzo forte della chiesa e del borgo.
Più procediamo nella passeggiata, più avverto il ronzare delle infinite storie che il borgo mi vorrebbe raccontare. Ne sento l’affollarsi mentre mi affaccio sull’Ager Palmensis dalla balconata su cui sorge S. Maria al Mare con la sua torre campanaria. Provo a immaginare quel luminoso panorama ripulito delle tracce del nostro tempo, quando in riva al mare l’antica città picena di Palma era ormai diventata scalo marittimo romano. Ma nella vicina torre di guardia, orientata a nord-est, la suggestione di quell’immagine torna a declinarsi nello scenario medievale del borgo, dove inevitabilmente rivive un guizzo di fantasia del ragazzino che un tempo sono stato. Come accade del resto anche nel cammino di ronda Duca degli Abruzzi, di fronte alla torre merlata che controlla il versante sud: i merli ghibellini a coda di rondine, in quello che fu un feudo della Chiesa, riportano al breve ma significativo dominio che Federico II di Svevia esercitò su queste terre.
Di fronte alla torre, una delle sei che difendevano il castello, il Bosco del Cugnolo è una macchia di nove ettari al cui interno si snoda una passeggiata che porta al mare. In un anfratto che oggi difficilmente si riesce a individuare, una piccola grotta di arenaria, nel 1911 si nascosero per alcuni giorni due giovani fidanzati: Antonio Iommi era rientrato in licenza dalla guerra di Libia ma, pur sapendo che avrebbe rischiato il patibolo, aveva deciso di restare accanto a Laurina. I pescatori portarono loro pane e sarde fino a quando, braccati dalle autorità, i due giovani decisero di togliersi la vita lanciandosi abbracciati nel fosso di S. Filippo. Vicenda disonorante per la famiglia, la storia della “grotta degli amanti” è stata rivista negli anni da un’altra prospettiva: come si appurò, il loro amore era rimasto del tutto platonico. E il loro gesto non fu quindi altro che un doloroso e nobile atto d’amore contro una guerra non voluta.
A casa di Andrea Iommi, pronipote dello sfortunato Antonio, parliamo di questa storia insieme a Massimo, a Teresa, che a Torre ha la casa storica della famiglia, e a Ettore, l’ex sindaco di Fermo cui si deve fra l’altro il percorso naturalistico nel bosco del Cugnolo.
Davanti a un caffè, il discorso si allarga sulle molte storie che vivono nella memoria del borgo. Storie vissute o ascoltate in gioventù che raccontano di personaggi ed eventi di un tempo, oggi conservati come simboli unificanti dello spirito di comunità. Se d’inverno la quiete è padrona assoluta di questi vicoli ordinati e puliti, dalla primavera in poi il richiamo per chi viene da fuori si esprime in più di un’occasione. Ogni 15 agosto, la Cavalcata dell’Assunta attira puntualmente frotte di visitatori nelle stradine fiorite che profumano di storia. Nel corteo, a ricordare le origini marittime, una barca viene condotta sino alla chiesa di S. Maria al Mare, accolta dalla voce della torre campanaria. Due processioni si indicono anche a Pasqua, il venerdì santo e la domenica, quando da S. Agostino esce la statua della Madonna del Rosario: tornano anche gli emigranti per seguire questa festa, e non solo quelli animati da sentimenti religiosi. Vengono per sentirsi sempre dalla parte delle radici, a ricordare la ngiochetta, rito rigenerativo pasquale a base di uova sode; i matrimoni con la rottura dell’orcio riempito di riso, monetine e petali di fiori; le botteghe dei vecchi mestieri che si affacciavano sulle tre vie principali; i due circoli sociali; l’attore Massimo Girotti, gentile e signorile, che qui acquistò una casa, attratto dalla bellezza e dalla pace del luogo. E don Francesco Mecozzi, prete severo ma amico dei giovani, cui si deve la costruzione della scuola media che fronteggia il Museo archeologico, all’ingresso del borgo.
Come ogni luogo, Torre di Palme, libero comune per seicento anni, dal 1877 frazione di Fermo, è un racconto senza fine; un gioco della vita fatto di memoria e di affettività che resiste alle trasformazioni prodotte dal tempo. Non ci sono più le poste, l’anagrafe, le botteghe, e la popolazione si è estremamente ridotta, ma nonostante ciò le famiglie che vivono qui sono le stesse di sempre. Si deve anche alla sopravvivenza della comunità, al solidale spirito di quello che qui chiamano r-aiuto se il borgo continua a riconoscere il senso del “noi”: di un’identità storica e umana che sa esprimersi tanto nel silenzio del ritiro quanto nei momenti in cui le vie accolgono schiere di chiassosi visitatori. “Un caos – come ricorda ancora Massimo – ma un caos felice, sia chiaro”.