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METAFORA, SIGNIFICATO E RIFLESSIONI

La realtà che ci circonda è la migliore ispiratrice di ogni possibile scrittura. Luoghi, cose e persone ci offrono con generosità spunti narrativi che possono prendere il volo, sorretti dal vento dell’immaginazione, nei cieli del racconto o del romanzo.

Ecco, mi sono fatto prendere la mano: dalla tastiera il volo lo hanno in realtà compiuto le metafore, utili strumenti espressivi di cui spesso si tende ad abusare.  

La parola metafora deriva dal greco e significa “trasferimento”, e così viene pertanto chiamata la trasposizione linguistica che da un’immagine reale riconduce a una figurata. Una specie di similitudine, in pratica, ma non solo, che ci piace cogliere ed esprimere per dare maggior forza espressiva o maggior valore a ciò che intendiamo esporre. Appaga senza dubbio la nostra psiche, la metafora, e risponde allo stile comunicativo in cui ci riconosciamo: poetico, enfatico, incisivo, oppure ironico, sarcastico, per non dire aggressivo.

Non c’è dubbio, ad esempio, che un conto è dire “hai dei begli occhi” e un altro “i tuoi occhi sono fari abbaglianti” (chi ha più anni alle spalle saprà riconoscere la citazione). Così come produce effetti opposti preferire “Tizio era un autentico pidocchietto” a “Tizio era persona molto parsimoniosa”. La metafora, se ben adoperata, aiuta tanto chi la scrive quanto chi la legge o l’ascolta. Lo sapeva bene anche Freud, che per spiegare il mistero della mente umana scelse l’immagine dell’iceberg, di cui è possibile scorgere solo una minima parte, cioè la mente conscia, mentre quella sommersa rappresenta l’inconscio. Per esprimersi in modo chiaro, comprensibile, il padre della psicoanalisi ha fatto sì che il concetto di “mente” fosse trasferito e arricchito di significato attraverso un sostanziale processo di trasformazione del reale.  

Come il pittore intinge il pennello nei diversi colori della tavolozza, così lo scrittore, o il poeta, attinge parole ed espressioni da diversi campi di significato, lavorando sui toni e sull’efficacia espressiva. Il ricorso alla metafora piace a chi parla e a chi scrive, soprattutto perché consente di investire in potenza e creatività. Gian Battista Vico, sottolineandone il carattere intuitivo, l’aveva definita “picciola favoletta”, vale a dire un espediente narrativo capace di narrare oltre il reale. La stessa direzione immaginifica verso cui si indirizzano i poeti: l’Infinito di Leopardi, per citare un capolavoro, che cosa è se non un tempio del sentire edificato con i mattoni dell’immaginazione? (la spinta metaforica qui è del tutto voluta).

In tempi più recenti un grande semiologo come Umberto Eco si è ampiamente occupato nei suoi saggi della produzione e dell’interpretazione della metafora, considerata strumento “di nuova conoscenza” capace di spingere il lettore a rivedere o riorganizzare il proprio sapere e la propria visione del mondo. Da ciò la conferma della sua utilità in qualunque genere di testo scritto: a condizione, come ho accennato, che non si cada nell’abuso generato tanto dalla distrazione quanto da una qualche sottile e inconsapevole forma di autocompiacimento.

La realtà ci porta sempre a interpretare, oltre che a osservare. E ciò che è reale non ci basta mai, come d’altronde ci insegna, e ci impone, l’universo tecnologico in cui ogni giorno pensiamo e ci muoviamo. Risponderebbe quindi al vero, seguendo questo ragionamento, l’affermazione con cui ho aperto questo scritto: la realtà che ci circonda è la migliore ispiratrice di ogni possibile scrittura. Anche quando proviamo a trasformarla, ritoccarla, superarla.

Scrivere ispirandosi alla vita reale è cosa naturale per ogni buon narratore, se non persino regola aurea. Ma una regola che si esalta e può produrre risultati soddisfacenti solo quando si fa strada il desiderio, se non il bisogno, di varcare gli stretti confini del vero. Risorse tra loro opposte come realtà e potere immaginifico possono così costituire lo sfondo sul quale costruire una narrazione capace di catturare l’attenzione del lettore, che è ciò cui autore ed editore in definitiva aspirano.

Il resto, tutt’altro che banale, è compito delegato agli strumenti della scrittura. Tra i quali rientra proprio l’uso adeguato della nostra metafora, quel guizzo del pensiero che, come un treno, ci trasporta da una stazione all’altra, da un nome all’altro. Così, metaforicamente.

(ARTICOLO PUBBLICATO SU WWW.ACCADEMIADISCRITTURA.IT)

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