Da un po’ di tempo in qua una cornacchia grigia viene a farci compagnia. Cerca cibo, e sa ormai che nei vasi esposti sul nostro balcone le lasciamo sempre qualcosa da mangiare. Avevamo iniziato a occuparci di lei perché ogni tanto veniva a scavare tra le piante, sporcando di terra il pavimento. E la scelta di distrarla con il cibo si era poi dimostrata strategia vincente.
In questi giorni di clausura, la cornacchia viene a ispezionare più volte il nostro balcone, e tra noi e lei si è così instaurata una guardinga relazione scandita dal ritmo delle sue frequentazioni.
Noi la osserviamo e lei ci osserva, da vicino e da lontano. Una delle sue postazioni preferite per il controllo del territorio è il piccolo bosco di antenne installate sul tetto della casa di fronte: appollaiata su quei trespoli, scruta e spia, sempre pronta a intervenire.
L’aspetto del pennuto – corpo grigio, testa e ali nere – non è certo attraente. Forse è per questo che la natura l’ha dotato del roco “craaak” con cui si annuncia in volo: non un canto, come gli altri uccelli, ma un sinistro gracchiare che si espande nei nuovi silenzi del contagio. Anche il suo stesso nome è tutt’altro che invitante: fa rima con “macchia”, “pacchia” e “mordacchia”, misera cosa rispetto alle più suggestive impressioni suggerite da nomi come allodola, upupa, merlo o pettirosso.
Esopo, senza dubbio attratto dall’aspetto poco gradevole, la cornacchia l’ha addirittura consegnata ai posteri come simbolo della vanità, per ricordare le disgrazie cui va incontro chi non si accetta per quello che è, e cerca di essere altro coprendosi con incantevoli piume di pavone.
La nostra visitatrice, fuor di metafora, in verità non avrebbe proprio nulla da spartire con la superba cornacchia della favola. Lei bada al sodo e tira a campare come natura le consente, ben calata nel ruolo di scaltra opportunista che per diritto di nascita le appartiene.
Il suo unico punto debole, e chiodo fisso, la accomuna molto a noi umani, e ovviamente è il cibo. Più gliene dai e più ne mangia, senza alcun pudore. Altro che cornacchia pavoneggiante: quando zampetta lungo il tubo superiore della ringhiera, spostandosi da un vaso all’altro, la fiera immagine di arrogante violatrice di spazi altrui cede il passo a quella di un banale pollo: un pacifico e piuttosto impacciato pollo che fatica a muoversi sulla superficie liscia e tondeggiante del tubo pur di rosicchiare qualcosa.
C’è sfida, negli sguardi che ci rivolge quando si accorge della nostra presenza. Chissà se un giorno riusciremo ad avvicinarla.
Idee balzane figlie della quarantena, questa come altre, che accolgo comunque come leggero corredo di ore pensose.
In queste giornate di attesa, silenziose e pulite come mai prima d’ora, in cui ho piazzato il pc di fronte alla doppia finestra del soggiorno, quell’uccello porta serenità e pacata riflessione. Con le sue visite, mentre invita all’incontro, ci ricorda che si può ancora volare: lui, libero, con le sue ali, e noi con il nostro pensiero; anche, e forse ancor più, in questo delicato momento di sospensione del tempo: c’è speranza, direi, nel suo andare e venire. Non è certo una candida colomba e non stringe nel becco alcun ramoscello d’ulivo, ma ci dice ugualmente che la vita continuerà. Deve continuare, in un modo o nell’altro.
Osservare le reazioni che la cornacchia attiva in me (attesa, studio dei suoi comportamenti, scatti fotografici, tattiche di avvicinamento, ricerche sul web), è un tornare all’infanzia. Quando lei arriva sento di non essere più l’io adulto di ora, ma il bambino che mi trascino dietro da sempre, con il quale so di essere molto in debito per averlo troppo spesso trascurato o zittito. Ed è anche per questo, in fondo, che sono grato alla nostra amica.
Scrivendo, altre domande affiorano, e sollecitano pensieri che invitano a specchiarsi ancora nella scrittura. Per scovarne altri, e dare voce ad altre domande che forse non mi sono ancora posto.
Ma lei ora è tornata a posarsi sulla ringhiera, e mi scruta con la consueta circospezione. Certo, le dico, ho capito. Questo è il momento di mettere in pausa i pensieri: il virus, la vita, e l’ansia per quel che sarà possono attendere.
Ho letto cose interessanti e curiose sulle cornacchie grigie. Ma quella che più mi ha colpito è il nome scientifico di questa specie di volatili: “Corvus corone Corvix”.
Credo mi ricordi qualcosa, quel “corone”. Non so, ci dovrei pensare, o magari no.
Roma, 20 aprile 2020