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Virtus, non virus

Impareremo a camminare
Per mano insieme a camminare
Domenica
(Zucchero, Diamante)

Di necessità, virtù, si diceva un tempo. La postazione domestica dalla quale mi difendo – e difendo – dal coronavirus diventa così uno spazio comodo e privilegiato per riflettere, ampliare la conoscenza e vagare con il pensiero.
Pensando proprio alla parola virus, in queste lente giornate mi sono lasciato trascinare da una considerazione che ho poi voluto affidare alla chiarezza della scrittura.
Virus, dunque. Questa parola che continuiamo ad ascoltare, pensare, pronunciare come mai prima d’ora, deriva dal latino vir, uomo, etimo dal quale discende anche quel virtus che ancora sopravvive nell’orgoglio di molte associazioni sportive.
Virtus e virus: una significava “forza, coraggio” e l’altra “veleno”. Con il tempo la virtus è diventata virtù, cioè la naturale disposizione a fare il bene, mentre il virus è sostanzialmente rimasto tale e quale: un malefico e multiforme intruso che si nasconde ovunque, predisposto a fare l’esatto contrario della parola con cui è imparentato.
Per la scienza il virus è un “parassita obbligato”: non ha vita autonoma, e per nutrirsi e riprodursi ha quindi bisogno di altre cellule. Quelle dell’uomo – l’originario vir – sono ovviamente tra le sue preferite. Lui, il virus, sa che dell’antica virtus è ormai rimasto poco in giro, e di conseguenza, quando può, se ne approfitta.
Eppure.
Penso ai comportamenti virtuosi, non di rado eroici, di quelli che con il (corona)virus ci devono lavorare. E mi dico che di fronte al loro esempio chiamare reclusione l’isolamento che oggi ci viene richiesto è veramente cosa indegna.
Poi penso ai piani alti della scala sociale, e mi auguro che governanti e oppositori seguano realmente le virtuose indicazioni civili e morali del Presidente della Repubblica, insieme a quelle spirituali di un Papa che, fede o non fede, sa far arrivare ovunque la saggezza delle sue parole.
Virtù, dicevo. Secondo Platone, prudenza, moderazione, giustizia e coraggio. Valori che si mostrano soprattutto nei momenti di difficoltà, ma ai quali in genere ci si rivolge nella loro funzione di puro ornamento di intenzioni. La virtù platonica, con gli ingombranti valori che porta in sé, continua così a vivacchiare nei quartieri periferici del linguaggio o nel ristretto perimetro delle tradizioni popolari: in Abruzzo, guarda caso, “virtù teramane” è il nome del piatto del primo maggio, saggiamente cucinato con gli avanzi conservati con cura, insieme alle primizie della primavera.

C’è chi crede che quando tutto sarà finito, dopo aver seppellito e onorato gli ultimi morti, l’umanità tornerà a ripetere gli stessi errori di sempre, e chi invece sente odore di rinascita di un nuovo umanesimo.
Qualcosa dovrà pur cambiare, spero, a partire dall’attenzione all’ambiente e dalla gestione della politica, sino ai comportamenti individuali. Dovremo imparare a camminare con altre gambe.
In questi giorni di riflessione, mi è capitato di immaginare il virus come un messaggero degli dei dell’Olimpo inviato per restituirci la forza e la saggezza della virtus. E l’ho pensato anche come un Giano bifronte che guarda il prima e il dopo, cioè l’inizio che nascerà da quanto sapremo fare e da quello che sapremo imparare. La virtus, ho poi scoperto cercando nella virtualità del mio pc, per i romani era veramente una divinità, rappresentata con l’immagine di una donna guerriera: se è vero che siamo in guerra contro un nemico invisibile, cibi e incensi alla signora, e in grande quantità.
VirTus- virus: nella grafia, la differenza in fondo è minima, solo una “T” in più o in meno. Una semplice consonante che da sola, facendola nostra, potrebbe aiutarci a trasformare il veleno in virtù, il male in bene.
Riprendiamocela, questa lettera, e iniettiamola nel virus.

Virtus

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