La mia recensione di “Una storia al contrario”, di Francesca De Sanctis, Giulio Perrone editore
Guardare un punto fisso e andare comunque avanti, come i funamboli sul filo. È questo l‘unico metodo a cui conviene affidarsi quando, da alleati, lavoro e salute diventano nemici, e la vita si riempie delle domande che ti dettano l’ansia e la paura. Così ha fatto e cerca di fare, continuando a scrivere, la giornalista Francesca De Sanctis, transitata dalle quotidiane “biografie altrui” alla scrittura di sé con la toccante testimonianza di “Una storia al contrario” (editore Giulio Perrone, in libreria).
«Alla fine è stato inevitabile, necessario anzi», scrive l’autrice nell’introduzione. «Se volevo sopravvivere a quel terremoto, potevo solo affidarmi a carta e penna. È stato sempre così per me, solo che la storia che dovevo raccontare questa volta era la mia, non quella degli altri. Le parole si sono rincorse, come avessero aspettato solo un segnale».
Il terremoto di cui parla Francesca De Sanctis, classe 1976, ha due epicentri: la tormentata chiusura del quotidiano l’Unità, di cui dal 2001 al 2017 è stata redattrice e vicecaposervizio nelle pagine di cultura e spettacoli, e il sopraggiungere di una rara malattia. Ripercorrendo le tracce fondamentali di una vita fondata sul valore dell’impegno e della partecipazione, Francesca restituisce in trasparenza un’interessante prospettiva di lettura del periodo storico in cui nasce e si diffonde il malessere della generazione del precariato. Quei quarantenni di oggi, nello specifico, che dopo aver iniziato con un contratto a tempo indeterminato si vedono costretti a rincorrere collaborazioni saltuarie e mal pagate.
In un certo senso, questa storia “al contrario”si potrebbe anche definire un’autobiografia generazionale, come del resto lascerebbe intuire la stessa autrice quando spiega: «Stavo parlando di me, della mia vita, stavo sezionando il mio corpo con il bisturi. Mi sentivo vulnerabile, eppure sapevo di parlare anche per gli altri, di dare voce anche ai miei colleghi de l’Unità, a tutti gli altri protagonisti silenziosi di “storie al contrario”».
Come accade in ogni vera autobiografia, nel libro insieme a un io narrante compaiono molti noi, i compagni di viaggio di Francesca, ricordati e onorati nella cornice di un generale e sincero sentimento di riconoscenza. Lo stesso che sembra nutrire la profondità di ricerca interiore offerta dalla scrittura, dalla quale la narratrice recupera un produttivo momento di cura e di rielaborazione del dolore, utile a rivedere le cose da altre prospettive di possibilità. Spogliate da ogni traccia di rancore o di autocommiserazione, e aperte all’incontro con lo stupore che possono donare il sorriso di una figlia e il volo di una farfalla.
Lei lo definisce “romanzo”, il suo testo autobiografico. E neppure impropriamente, in fondo, se è vero che la vita è un romanzo di cui ognuno di noi è al tempo stesso autore e lettore. Nel terapeutico recupero di immagini e di emozioni scandito nella trama, un posto speciale Francesca lo riserva alla famiglia, sul suo essere stata figlia, quindi moglie e madre, e poi ancora, in senso più ampio, orgogliosa sorella nel nucleo familiare di una storica testata italiana.
È un’autobiografia autentica e coraggiosa, quella che ci propone De Sanctis al suo esordio narrativo. Curata nei toni e nella composizione grazie al rigore proprio di chi della scrittura ha grande rispetto, e di cui conosce potere e valore.
(articolo pubblicato sul sito della LUAil 27 settembre 2020 – http://lua.it/pubblicazioni/storia-al-contrario-recensione-roberto-scanarotti/)